No Gronda
22Lug/110

L’agenda di Genova: Europa, grandi opere, beni comuni

di Checchino Antonini da Liberazione del 22.07.11

Ancora resistenti ma non reduci: le lotte per la ripubblicizazione dei beni comuni, per la democrazia nei luoghi di lavoro, contro grandi devastanti opere e contro la finanziarizzazione dell'economia si sono "linkate" dieci anni fa a Genova e da qui denunciano ancora tutta la loro bruciante urgenza. E' per questo che - sebbene ignorato dai gornali cittadini - il dibattito serale tra Ferrero, Rinaldini, la No Tav Nicoletta Dosio e Bersani (quello dell'acqua) riempie all'inverosimile il salone di rappresentanza di Tursi, il municipio, fino alla fine. Quando le duecento persone sciameranno per gli scaloni sarà quasi mezzanotte.

Che Luigi De Magistris, annunciato nel programma, sia trattenuto a Napoli dall'emergenza rifiuti non toglie densità alle relazioni degli oratori interrogati dal cronista di Liberazione e accolti da un giovane impiegato genovese, Carlo Di Bernardo, che, da quasi tre anni, si batte nei comitati anti Gronda, «un'altra autostrada in mezzo alle case, un'opera che non si regge, come la Tav». La città è uno snodo non solo simbolico delle questioni in agenda. «Genova rischia di diventare un crocevia di merci (incombe anche la Tav, ndr) senza luoghi per la produzione - spiega anche Antonio Bruno, capogruppo Prc in consiglio comunale - La trasformazione urbana asseconda il declino e le dinamiche imposte dalla manovra immobilizzano la politica e tendono a vanificare gli esiti referendari».

Per tutte queste ragioni hanno molto da riferirsi Genova e i movimenti. «Perché anche in Valle la lotta è contro un mondo diviso in corridoi per le merci delocalizzate - avverte Nicoletta Dosio - La Tav significa desolazione ambientale, fine di una socialità diffusa e accettabile. Per questo venimmo nel 2001». Per questo è tornata a raccontare della «libera repubblica della Maddalena che si batte contro il partito trasversale degli affari per un altro modello di vita e di lavoro». Dice ancora che le barricate in Valle le hanno chiamate Stalingrado e Saigon, per la capacità di resistenza infinita e per la tensione no global; dice che si sono arrampicati, i valligiani, per i sentieri della lotta partigiana e da lì hanno gridato il nome di Carlo a chi li imbottiva di gas chimici cancerogeni. «Il cantiere è solo un fortino per gli alpini tornati dall'Afghanistan. Anche per questo i popoli che lottano sono fratelli. Appoggiateci nel vostro territorio, nel vostro posto di lavoro».

Anche la battaglia per l'acqua è tutta da vincere dopo il referendum, ma Marco Bersani di Attac vuole ricordare la fine di un ciclo di consenso al liberismo segnata dalla valanga di Sì che ha sconfitto anche il modello unidirezionale dell'informazione televisiva. Anche i presunti depositari della libera informazione hanno ignorato i referendari, nel migliore dei casi li hanno marginalizzati: «Santoro ci voleva in 30, con le bandiere ma in piccionaia, Gad Lerner ci chiese se gli mandavamo un panettiere», ricorda Bersani secondo il quale la manovra è anche una vendetta bipartizan contro i referendum. «Se i mercati finanziari espropriano i luoghi decisionali della democrazia rappresentativa, bisogna sperimentare nuovi luoghi decisionali partecipati dal basso - suggerisce - e giocarsi la partita europea contro il Patto di stabilità». E' l'abbozzo di un'agenda che il leader della minoranza Cgil, Gianni Rinaldini, crede sia da elaborare insieme. Il fatto che ogni ragionamento «impatti con l'Europa monetaria», lo induce a cercare più di una dimensione dentro cui agire contro l'americanizzazione del modello sociale che travolge, con l'ultimo accordo, anche la Cgil deformandola in «sindacato di mercato, funzionale alle macchine da guerra delle imprese».

E' dentro questo contesto disegnato a più voci che Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, trova che i movimenti in corso siano in sintonia con la chiamata a Genova di dieci anni fa e tendenzialmente maggioritari come dimostrano i referendum. Da qui il rilancio dell'idea di una costituente dei beni comuni: «Uno spazio di relazioni stabili tra i movimenti, non episodiche, che duri e costruisca soggettività». Una proposta che assume il quadro europeo (Ferrero richiama più volte l'agenda e le forme degli indignados) muovendo da un'autocritica iniziata tre anni orsono sulle responsabilità del suo partito nella desertificazione del social forum in nome della governabilità. «Per l'alternativa - dice - non basta che Berlusconi vada all'opposizione. Bisogna avere cura delle lotte, entrare in connessione.

La democrazia e i beni comuni sono i punti centrali su cui costruire i movimenti. Bisogna riprendere la critica dell'economia politica per battere un analfabetismo di ritorno delle masse su certe questioni. Perché non c'è nulla di naturale nella finanziarizzazione dell'economia. Anzi, vanno posti vincoli precisi al capitale finanziario, alle rendite per aprire spazi di democrazia e di demercificazione».

 

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